Con un decreto interministeriale del giugno 2017, il prefetto Francesco Paolo Tronca è stato nominato Commissario straordinario dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano. Non solo una nomina di altissimo profilo (nella sua lunga e prestigiosa carriera, Tronca è stato, fra l’altro, prefetto di Milano, capo del Dipartimento dei Vigili del Fuoco e commissario straordinario di Roma Capitale), ma anche una scelta che è apparsa particolarmente indovinata a chi conosce la grande passione dell’uomo per la storia patria e per Garibaldi: la ricca “collezione Tronca”, oggetto di mostre, articoli e pubblicazioni, è oggi considerata fra le più importanti e raffinate collezioni private di cimeli garibaldini[i].
Il “garibaldino” Tronca richiama alla mente i tanti prefetti del Regno d’Italia che a Garibaldi avevano strettamente legato le proprie vicende ideali, politiche e anche personali, e di molti dei quali si è già scritto su queste colonne: da quelli più famosi, come Enrico Cosenz, Giacomo Medici, Bartolomeo e Michele Amari, Lorenzo Valerio, a quelli meno conosciuti e magari riscoperti solo di recente, come Carmelo Agnetta, Biagio Miraglia, Antonino Plutino, Giorgio Tamajo; personaggi che con Garibaldi avevano condiviso campagne militari, progetti politici, talvolta fratellanze massoniche, e che poi avevano trasfuso le loro esperienze ed energie nella costruzione e nel consolidamento di una virtuosa burocrazia postunitaria.
Ma vi furono anche prefetti del Regno che, a causa o nel nome di Garibaldi, conobbero amari infortuni ed inciampi di carriera: come nel caso di Domenico Marco, destituito nell’agosto 1862 dalle funzioni di Prefetto di Caltanissetta a causa dell’accoglienza riservata al Generale. Una vicenda che merita d’essere brevemente ricordata.
Era, Domenico Marco, una personalità che aveva già marcato significative esperienze nelle istituzioni e amministrazioni preunitarie[ii]. Nato a Bollengo, nel Canavese, nel 1816, dopo la laurea in legge era stato per un breve periodo redattore de “Il Progresso” di Novi e poi de “la Concordia” di Torino[iii]; eletto deputato del Regno di Sardegna nel 1849 per il collegio di Pieve d’Oneglia, sedette in quel parlamento per cinque legislature.
“Giureconsulto piemontese di bellissimo ingegno e liberale di schietta fede”, lo definì Telesforo Sarti; “ingegno che dava bellissime speranze, cui la sorte forse non gli permise di mantenere”, secondo Vittorio Bersezio; “oratore forbito ed eloquente, ascoltato con deferenza ed attenzione”, per l’Histoire des hommes d’état du XIX siècle; Marco univa alla passione patriottica l’interesse per le lettere, che condivideva con l’amico editore Gaspero Barbera.
Dopo il 1859, il processo di unificazione lo vide impegnato nei nuovi territori, dapprima nell’amministrazione fariniana come Intendente generale della provincia di Parma e poi di Reggio Emilia, quindi Vice Governatore della provincia di Bergamo. Con l’unità d’Italia, il 17 novembre 1861 assunse le funzioni di Prefetto di Caltanissetta e nella città nissena viene ancora ricordato con gratitudine come il primo, vero promotore dell’istituzione della biblioteca comunale (oggi intitolata a Luciano Scarabelli[iv]), cui diede vita stimolando donazioni di volumi da parte della nobiltà, degli ordini religiosi, delle società e delle professioni[v]. Nel giro di pochi mesi, grazie alla sua iniziativa Marco raccolse un primo nucleo di 700 volumi da destinare alla biblioteca, frutto delle donazioni, fra molti altri, anche del principe Giuseppe Lanza di Trabia, dell’abate Giuseppe Benedetto Dusmet e dell’editore modenese Nicolò Zanichelli.
Marco non vide, però, compiersi gli sviluppi di quell’iniziativa felicemente visionaria. A troncare bruscamente la sua esperienza nella città nissena fu la crisi dell’agosto 1862, in occasione del tentativo garibaldino di muovere dalla Sicilia verso Roma, poi fermato in Aspromonte.
Garibaldi giunge a Caltanissetta la mattina del 10 agosto 1862, accolto trionfalmente dalla popolazione. Alle 11.10 di quel giorno, Marco telegrafa a Urbano Rattazzi, Presidente del Consiglio e Ministro dell’Interno fortemente ostile al tentativo: “In questo momento entra Garibaldi accolto dalla popolazione festante. La Guardia Nazionale è sotto le armi per l’ordine pubblico. Tutto procede tranquillo, trambusti di nessuna sorte”. E, richiesto di maggiori precisazioni, nel pomeriggio, alle 16.30, aggiunge: “Garibaldi alloggia in casa privata: tenne parole temperate e conciliative alla folla accalcata. Questa sera giungeranno 500 garibaldini: forse domani andrà per Castrogiovanni. Ordine perfetto”. Rattazzi, furente, minuta di suo pugno la risposta: “Si ritiri immediatamente da Caltanissetta. Le autorità governative non possono trovarsi presenti all’ingresso di Garibaldi, che è ribelle alla legge. Il Governo si riserva di provvedere a di Lei riguardo tosto che sarà meglio informato dei fatti; intanto Ella avrebbe dovuto dare qualche maggiore indicazione”.
Nei fatti, secondo la testimonianza del garibaldino Francesco Zappert,“il signor Marco, prefetto della provincia, non solo non avea lasciato la sua residenza al nostro avvicinarsi, ma s’era condotto a far visita al Generale e l’aveva invitato ad un banchetto al Palazzo della Prefettura”, con tanto di brindisi finali. La circostanza è confermata anche da un resoconto ufficiale[vi], secondo cui Garibaldi, “presa refezione quel giorno presso il Prefetto, il quale da privato dovette invitarlo, ritornava a pernottare nello alloggio della Società Unitaria”.
Banchetto o refezione che sia, certamente è indigesto al governo di Torino, tant’è che Rattazzi, affinché il suo pensiero sia chiaro oltre ogni possibilità di equivoco, scrive a tutti i Prefetti e Sottoprefetti di Sicilia che “Garibaldi colla sua condotta si è posto fuori della legge e non può essere lecito ai Comuni di fargli qualunque somministranza”.
Il destino di Marco è segnato e si consuma in meno di quarantott’ore. Il 12 agosto, nel comunicare al Prefetto di Palermo, Efisio Cugia, che il Governo ha deciso di concentrare nelle sue mani la direzione politica e militare dell’isola, Rattazzi lo informa anche che “il Prefetto di Caltanissetta è stato destituito per la condotta tenuta verso il generale Garibaldi”. Poco più tardi, telegrafa a Marco: “Debbo notificarle che il Re con decreto di quest’oggi lo ha rimosso dalla carica di Prefetto in conseguenza del contegno ch’Ella tenne all’arrivo del generale Garibaldi in codesta città”.
“Il mio fallo, – scriverà Marco con amarezza, – se fallo ci fu, fu di cortesia, non di contegno debole, ambiguo o sleale”. E ricorderà come, in quell’incontro, fosse stato esplicito il suo invito a desistere dall’impresa: “Illustre generale Garibaldi, che tanto ha fatto per l’indipendenza della patria italiana, non deve comprometterla con atti disapprovati da quello stesso Re, che compendia in sé il profondo e sublime significato della concordia italiana”.
“Dispensato da ulteriore servizio”, secondo la secca formula dell’epoca, Domenico Marco in realtà avrà concessa l’opportunità di un secondo troncone di carriera, anch’esso destinato a concludersi sfortunatamente. Rientrato dall’aspettativa il 1° giugno 1865 per assumere le funzioni di Prefetto dell’Aquila, resta in Abruzzo fino al febbraio 1866, quando viene “traslocato” a Pesaro e Urbino; dopo pochi mesi, il 14 dicembre 1866, viene collocato in aspettativa per motivi di salute. Più che la sua fragilità psicofisica, su Marco pesa il giudizio di incapacità espresso dal potente direttore di divisione del Ministero dell’Interno, Antonio Binda, che in una relazione a Bettino Ricasoli ha proposto la destituzione dello stesso Marco e di altri quattro prefetti, da lui giudicati palesemente inadeguati al ruolo[vii].
Per Marco, il giudizio di Binda segna la fine della carriera. Ritiratosi a vita privata, torna a vivere nella natìa Bollengo, in una casa di campagna posta sulle pendici della Serra d’Ivrea, dove muore il 19 marzo 1889, all’età di 73 anni.
Morto, ma non dimenticato: un ritratto di Domenico Marco campeggia ancora all’interno della biblioteca Scarabelli di Caltanissetta. Su iniziativa del figlio Carlo, che fu preside dell’Istituto Arduino di Ivrea, nel 1927 una lapide in suo ricordo fu posta all’esterno dell’asilo infantile “Don Luigi Gaida” di Bollengo, poi demolito nel 2000; nel 2012, la lapide, restaurata per volere dell’amministrazione comunale, è stata riposizionata presso la Nuova Torre.
[i] Aa.Vv., Garibaldi. Le immagini del mito nella collezione Tronca, Brescia 2007; M. Fino (a cura di), Giuseppe Garibaldi. I tesori della collezione Tronca, Roma 2007. Sito: www.collezionetronca.it
[ii] E. Champagne, “Domenico Marco di Bollengo. Patriota, funzionario dello Stato e uomo di cultura”, in I Quaderni di Terra Mia, n. 14, pp. 64-67, Castellamonte 2016.
[iii] Giornale diretto da Lorenzo Valerio, oltre a Marco vi collaboravano personaggi del calibro di Domenico Berti, Domenico Carutti di Cantogno e Luigi Federico Menabrea.
[iv] Luciano Scarabelli (Piacenza 1806-1878), letterato allievo di Pietro Giordani, fu il maggior donatore della biblioteca con oltre 2500 volumi, trecento dei quali a loro volta provenienti da una vecchia donazione del Giordani. Il consiglio comunale di Caltanissetta gli intitolò la struttura nel 1882.
[v] A. Vitellaro, “Breve storia della Biblioteca Comunale Luciano Scarabelli di Caltanissetta”, in Archivio Nisseno, anno III, n. 4, gennaio-giugno 2009.
[vi] Redatto dal consigliere delegato Giuseppe Camerata Scovazzo, che assunse la reggenza della Prefettura dopo la destituzione di Marco, il rapporto riferiva minuziosamente a Rattazzi i dettagli dell’arrivo e del soggiorno di Garibaldi a Caltanissetta. Dalla stessa relazione si sa che il prefetto Marco, all’indomani dell’intimazione di Rattazzi a ritirarsi, lasciò effettivamente Caltanissetta alla volta di Licata, sul litorale meridionale dell’isola.
[vii] G. Tosatti, Storia del Ministero dell’Interno. Dall’unità alla regionalizzazione, Bologna 2009, p. 47.